I

Il proscritto dal cielo, il triste Demone
volava sulla terra dei peccati,
ed i ricordi dei felici giorni
si affollavan nella sua memoria:
dei giorni in cui nelle celesti plaghe
Egli luceva puro cherubino
e la cometa fuggiva a Lui
un amico saluto rivolgeva,
e amabilmente Gli parlava. Allora
attraversando le eterne nebbie,
avido di conoscenza, seguiva
le nomadi carovane di stelle
nelle plaghe del cielo immense sparse;
quando credeva ed amava: felice
primogenito di tutto il creato!
Non conosceva il dubbio e non il male,
né minacciava la sua mente lunga
di sterili tempi serie dolente...
E molte, e molte altre cose, e di tutto,
di ricordar la forza non aveva.


II

Respinto da remoti tempi, errava
senza asilo nel deserto del mondo:
e i secoli inseguivano i secoli
come un minuto dietro l'altro in una
successione monotona e annoiante;
Signore di una terra miserabile
senza piacere seminava il male.
In nessun luogo trovava la sua arte
una qualche resistenza, e per questo
anche il male Gli diventò noioso.


III

Sulle vette del Caucaso volava
l'esule dal Paradiso: c'era sotto
di Lui il Kazbek, la faccia d'un diamante,
che risplendeva con le eterne nevi,
e nereggiando nel profondo, quasi
una crepa dimora della serpe,
la sinuosa valle del Darjal:
e il Terek, saltando come leonessa,
la villosa criniera sulla schiena,
ruggiva: belve montane e uccelli
girando nell'altitudine azzurra
sentivano la voce delle sue acque;
e le nubi dorate, di lontano,
dalle terre del sud lo accompagnavano
verso le plaghe del settentrione;
e le montagne in fitta folla, colme
di misterioso sonno su di lui
chinavano la testa, inseguendo
le baluginanti onde.
Sulle rocce le torri dei castelli
minacciose tra le nubi guatavano
di sentinella alle porte del Caucaso,
come maestosi giganti guardiani!
Selvaggio e meraviglioso era intorno
tutto il mondo di Dio, ma lo spirito
orgoglioso, con sguardo di disprezzo
considerava il creato di Dio,
del suo Signore, e sulla sua alta fronte
non si rifletteva pensiero alcuno.


IV

E dinanzi a lui le bellezze vive
fiorirono d'un altro quadro: della
Georgia meravigliosa le valli
come tappeti dipinti si aprivano;
lussureggiante, felice paese!
I pioppi come colonne, i ruscelli
che sonanti scorrevano sul fondo
di pietre variopinte ed i cespugli
dove cantan gli usignoli alle belle
che non rispondono alla dolce voce
del loro amore, e dove la sua ombra
sparge dolce il platano fronzuto,
dove le grotte sono avvolte d'edera
intricata, rifugio nell'ardente
calura del giorno al timido cervo;
vita, splendore, e mormorio di foglie,
lingua di cento voci risonanti
e di mille alberi e piante il respiro!
Del meriggio il caldo voluttuoso,
le notti umide sempre di rugiada
profumata e le stelle luminose
come lo sguardo di una bella donna,
di una giovane georgiana!...
Ma nient'altro che una fredda invidia
suscitava la splendida natura
nello sterile cuore del proscritto,
non nuovi sentimenti, o forze nuove.
E tutto quello che egli vedeva,
lo disprezzava, oppur lo odiava. 


V

Un'alta casa, dal largo cortile
s'era costruito il vecchio Gudàl...
era costata lacrime e fatiche
agli obbedienti schiavi, in tempi antichi.
Fin dal mattino, sul pendio dei monti
si posano le ombre delle sue mura.
Nella roccia son scavati i gradini,
essi dalla torre angolare
portando al fiume: a volte vi si vede,
di un bianco velo ricoperta,
la giovane principessa Tamara
che va ad attinger acqua al fiume Aragva. (*)

(*) è un fiume georgiano


VI

Da sempre silenziosa sulla valle
cupa la casa guardava dalla rocca:
ma grande festa si celebrava oggi:
risuona la zurnà (*) e scorrono i vini:
fidanzava Gudàl la propria figlia
e alla festa invitò tutti i parenti.
Sul tetto, ricoperto di tappeti,
tra le amiche siede la ragazza.
Fra giochi e canti esse si divertono.
Dalla lontana catena di montagne
si nasconde del sole il semicerchio.
Cantano, e battono le mani in ritmo,
e la giovane fidanzata prende
il suo tamburo.
Ed eccola: con una mano gira
il tamburello sopra la sua testa,
e più lieve di un uccello ora vola,
ora si ferma e guarda ed il suo sguardo
ecco che umido scintilla,
dietro le belle, invidiose ciglia;
ora gioca col nero sopracciglio,
ora d'un tratto si china lievemente,
e scivola sul tappeto, e vola
e danza, con quel suo divino piede,
ed eccola che ora ci sorride
colma di gioia infantile, e il raggio
della luna che lieve gioca a volte
nell'oscillante umidità dell'ombra
non può paragonarsi a quel sorriso
vivo come la gioventù e la vita.

(*) strumento musicale simile al corno


VII

Giuro per la stella di mezzanotte,
per il raggio del tramonto e dell'alba,
Il Signore della Persia dorata
e nessun altro re terrestre mai
potè baciare occhi così belli;
la zampillante fontana dell'harem
nel caldo tempo dell'estate mai
potè con le sue rugiadose perle
bagnare una figura così bella!
Né la mano terrestre di nessuno
nel carezzare quell'amata fronte
ancora scompigliò le belle chiome;
Da quando al mondo han tolto il paradiso
una bellezza così bella mai,
lo giuro, sotto il sole era fiorita.


VIII

E per l'ultima volta ella danzava.
Ahimè, al mattino l'attendeva, lei,
l'erede di Gudàl, inquieta figlia
di libertà, il destino triste d'una
schiava: un'altra, ancor straniera patria,
e straniera, una famiglia.
Del tutto sconosciuta, ignota gente.
Per questo spesso un segreto dubbio
le oscurava il luminoso volto,
eppure sempre le sue movenze erano
così armoniose e ricche di espressione,
così colme di dolce semplicità,
che se il Demone volando in quel tempo
avesse a lei rivolto il suo sguardo
gli angeli fratelli ricordando
girando il volto avrebbe sospirato.


IX

E il Demone la vide: per un attimo
di colpo un'emozione inspiegabile
sentì dentro la sua anima.
E ricolmò una beata armonia
il deserto del suo muto cuore
e di nuovo provò la santità
della bellezza, del bene e dell'amore!
A lungo contemplò il dolce quadro,
e i sogni della felicità antica.
Come stella che nasce da una stella,
fluirono davanti al suo ricordo.
Ed Egli si sentì come inchiodato
da una forza invisibile ed ignota,
ed una nuova tristezza egli conobbe,
un sentimento in lui parlò con lingua
a lui ben nota un tempo e molto cara.
Di rinascenza era questo un segno?
Parole perfide di seduzione
nella sua mente non potè trovare...
Dimenticar non concedeva Dio:
e Lui stesso l'oblio non voleva!


X

Tormentando il suo valente destriero
alla festa di nozze, verso il tramonto
correva l'impaziente fidanzato.
Felicemente raggiunse le verdi
rive della luminosa Aragva.
Sotto il greve fardello dei regali
appena appena rimanendo dietro
lo seguiva la fila dei cammelli
che lenti vanno nella lunga strada,
facendo risuonare i campanelli,
ed è lui, il Signore di Sinodal,
che guida quella ricca carovana.
Bello nella sua elegante cintura,
risplende al sole l'ornamento della
sua bella sciabola e del pugnale.
Sulla schiena il fucile arabescato.
E gioca il vento con le ampie maniche
del suo mantello tutto decorato
con le dorate insegne e coi galloni.
Ricamata con sete colorate
è la sua sella, con nappe è la briglia;
il suo cavallo, schiumeggiante, ardito,
ha un prezioso mantello: sembra d'oro.
Veloce pupillo del Karabach
drizza gli orecchi, e pieno di paura
sbuffa e guarda dallo scosceso ciglio
la rapida onda che schiumeggia in basso.
Pericoloso e stretto è il cammino:
sulla sinistra stan le rocce ripide,
e sulla destra in basso il ribelle fiume.
è già tardi. Sull'innevata cima
si spegne il cielo, s'è alzata la nebbia...
la carovana accellera il suo passo.     

  
XI

Ed ecco sulla strada una cappella...
Qui da remoti tempi dorme in Dio
non so qual principe, or fatto santo,
che una mano di vendetta uccise.
Da allora, vada a battaglia o festa,
il passeggero, dovunque si affretti,
sempre col cuore una preghiera assorta
egli pronuncia presso la cappella;
e proteggeva la sincera prece
dall'improvviso pugnale musulmano.
Ma disprezzò l'ardito fidanzato
quel costume dei suoi antenati.
Con un perfido sogno lo turbava
l'astuto Demone del male.
Nella sua fantasia, nella notte
la bocca di Tamara Egli baciava,
ed ecco apparvero in due davanti,
s'udì uno sparo: ma che accade dunque?
Alzatosi sulle staffe sonanti
il coraggioso principe non parla,
si spinge sulla fronte la papacha,
stringe in mano il suo fucile turco.
Un colpo di staffile, e come un'aquila
si slancia: ma esplode un altro colpo!
Un selvaggio grido ed un lamento sordo
echeggiano nella profonda valle.
E non per molto proseguì la lotta:
i codardi gruzini (*) son fuggiti!

(*) I Georgiani


XII

E tutto tace: si stringono i cammelli
per guardare, più volte, con timore
i corpi dei morti cavalieri,
e sordo nel silenzio della steppa
si sente il suono dei loro campanelli.
Saccheggiata è la ricca carovana;
e sui corpi dei cristiani morti
traccia i suoi cerchi il notturno uccello!
Non più li attende silenziosa tomba
sotto le pietre di qualche monastero,
dove la cenere degli avi è sepolta;
e non verranno le sorelle e madri
di lunghi veli ricoperte a piangere
ed a pregare nella loro angoscia
dai più lontani luoghi sul sepolcro!
Pietosa mano invece sulla strada
sopra la roccia innalzerà una croce,
a lor memoria, e l'edera verde
che cresce al tempo della primavera,
con le carezze delle lievi fogli
l'abbraccerà in smeraldina rete;
e svoltando dalla difficoltosa
strada, a volte, gli stanchi viandanti
riposeranno sotto l'ombra sacra.


XIII

Corre il destriero, d'un cervo più veloce,
sbuffa e si sforza, come alla battaglia;
a un tratto ora s'arresta nella corsa,
per ascoltare la voce del vento,
ed allargar le frementi narici,
ora si mette a battere la terra
con i ferri dei risonanti zoccoli,
e agitando la scompigliata criniera.
Senza memoria vola, vola avanti.
E lo cavalca un silente cavaliere! (*)
Egli talvolta batte sulla sella,
cade col capo sulla sua criniera.
Più non guida con le adorne briglie
né si muovono i piedi nelle staffe.
Sulla gualdrappa si vedeva in chiazze,
in larghe chiazze, del cavaliere il sangue.
O veloce destriero, hai portato
lontano dalla battaglia il tuo Signore,
ma già l'aveva colpito la mortale
pallottola osseta nella tenebra!

(*) Il silente cavaliere, come personaggio letterario,
ricorda il fidanzato morto nella ballata del Burger, "Lenora";
anche nel Mazeppa di Byron, c'è la figura del cavaliere morto.


XIV

Si piange nella casa di Gudàl,
e nel cortile la gente s'affolla:
a chi appartiene il destriero stremato
caduto sulle pietre della soglia?
E chi è il cavalier che non respira?
Hanno serbato le rughe del suo volto
dell'aspra battaglia ancora tracce.
Pieni di sangue son l'arma e il vestito;
nella folle ultima stretta la mano
immobile abbranca la criniera.
O fidanzata, per un breve tempo
il tuo sguardo ha atteso il fidanzato.
La parola di principe mantenne,
e il nuziale festino galoppava...
Ma ahimé non monterà più di nuovo,
non salirà sull'ardito destriero!


XV

Così la folgore divina ha colpito
la spensierata famiglia di Tamara.
Sul suo letto Tamara s'è buttata,
giace Tamara nel suo letto, e piange,
scendono le lacrime sul suo bel volto,
nell'affanno respira l'alto petto;
ma ecco che le sembra di sentire
una magica voce su di sé:
"Non piangere, fanciulla, vane lacrime!"
Non cadrà il tuo pianto, viva rugiada,
sul corpo silenzioso del tuo sposo:
solo il tuo sguardo annebbierà quel pianto
e brucerà le verginali gote!
Egli è lontano e non conoscerà,
e non potrà sentire il tuo dolore;
ora accarezza la celeste luce
degli occhi disincarnati lo sguardo;
Egli sente i canti del paradiso...
Per lui non contano i sogni meschini,
e il pianto di una povera fanciulla,
per lui che vive nell'eterna plaga.
No, la sorte d'un essere mortale,
credi a me, o mio angelo terrestre,
non vale un attimo soltanto della
tua tristezza, così preziosa!

Nell'oceano dell'aria
senza vele né timone
nella nebbia fluttuando
vanno i cori delle stelle;
e fra i campi infiniti
vanno in cielo senza traccia
delle nubi inafferrabili
i lanosi armenti.
Né l'addio, né gli incontri
danno a loro gioia o pianto;
mai non bramano il futuro,
né rimpiangono il passato.
Nel tormento del dolore
tu ricordati di loro;
dalla terra sii staccata,
noncurante come loro!

Non appena la notte col mantello
le cime del Caucaso coprirà,
ed il mondo con magica parola
come fosse incantato tacerà,
e non appena il vento sulle rocce
farà fremere l'erba appassita
e l'uccellino nell'erba nascosto
volerà via contento nel buio,
e sotto il tralcio della vite il fiore
notturno fiorirà avidamente
bevendo la celeste sua rugiada;
e non appena la dorata luna
dalla montagna piano s'alzerà
e guarderà furtiva il tuo bel volto,
Io volerò da te e sarò tuo ospite
fino al sorgere della chiara aurora
e manderò alle tue ciglia di seta
sogni dorati...


XVI

Tacquero le parole in lontananza,
morirono i suoni l'un dietro l'altro.
Ella si alza e si guarda intorno...
Un oscuro, confuso turbamento
c'è nel suo cuore paura e tristezza,
ardore d'estasi: nulla in paragone.
Ribollono in lei d'un tratto sentimenti;
e spezza l'anima le sue catene,
mentre un fuoco le vene le trascorre,
e la voce meravigliosa e nuova,
così le sembra, in lei risuona ancora.
Verso il mattino il bramato sonno
finalmente le chiude gli occhi stanchi;
ma Egli il sonno le turbava sempre
con un sogno profetico e strano.
Lo straniero nebuloso e muto,
splendendo di bellezza non terrestre,
sul suo guanciale si chinava: e tale
era l'amore nei suoi occhi, e la pena,
e così tristemente la guardava,
che pareva soffrisse per Tamara.
Era forse un angelo celeste?
Era forse il suo angelo custode?
Ma iridata corona di raggi
non abbelliva le sue chiome: e allora
era forse uno spirito dell'Ade,
Lo Spirito del Male? Non lo era,
Egli era come una chiata sera:
non tenebra né luce, giorno o notte!... 



Qualche commento critico

Il nome Gudàl, del padre di Tamara, sembra forse collegato col nome Guda, un genio delle montagne caucasiche, innamorato della pastorella Nino: non ricambiato, la uccise, seppellendola sotto una valanga.

***

Tamara è un personaggio storicamente esistito (1184-1213). Sotto il suo regno, la Georgia visse una fioritura politica e culturale grandissima. Il poeta Sota Rustaveli cantò la regina Tamara nel poema "Il cavaliere dalla pelle di leopardo."

***

Tutta la strofa XV è un mirabile esempio di poesia musicale. La traduzione non può rendere la magnifica orchestrazione dei versi. Potrebbe leggersi "Il Demone" come una partitura musicale? Il compositore russo A.G. Rubinstejn cercò di scrivere l'opera "Il Demone"; molte liriche e poemi di Lermontov trovarono "traduzioni musicali" in opere, romanze e balletti. Il Demone è legato all'aspetto diabolico del violino (cosa che Alessandro Blok intuì magnificamente), il Caucaso è espresso da trombe e tamburi, Tamara dagli strumenti georgiani come la zurnà o la cingura, o dalle arpe, o dall'aspetto angelico del violino.




I

Padre, padre non minacciarmi più,
la tua Tamara non rimproverare;
vedi che piango, vedi queste lacrime
che già non sono più le prime. Invano
s'affollano, venuti da lontano,
i pretendenti per cercarmi in sposa...
Non sono poche in Gruzia (*) le fanciulle!
Ma io non sarò sposa di nessuno!...
O, non rimproverarmi, padre mio:
vedi tu stesso che di giorno in giorno
per un mortale veleno io appassisco!
Che l'anima mi strazia il maligno
con un sogno che io non so respingere;
io sto morendo: e tu abbi pietà!
Lascia che vada in un santo monastero
la figlia tua ormai senza ragione;
là mi difenderà il Salvatore,
tutta l'angoscia a lui rivelerò.
Non c'è più gioia al mondo ormai per me.
Protetta dalla pace del convento
mi accoglierà una cella oscura,
come una tomba, prima del mio tempo...


(*) Gruzia: italianizzazione del nome russo Gruzija,
che indica la Georgia.


II

Nel remoto convento solitario
portarono Tamara i suoi parenti
dal tormento dell'umile cilicio
il suo giovane petto fu avvolto.
Ma anche nel monacale vestito,
come sotto i ricami d'un broccato,
non la lasciava il suo sogno impuro,
e, come prima, in lei batteva il cuore.
Presso l'altare, al lume di candela,
all'ora dei solenni canti, spesso
tra le fervide preci, ella sentiva
ancor quelle parole, quella voce.
Sotto le volte della buia chiesa
talvolta quell'immagine ben nota
le appariva senza suono o traccia
nella leggera nebbia dell'incenso;
splendeva silenziosa come stella;
coi cenni la chiamava: verso dove?...


III

In un fresco posto, fra due colline,
si nascondeva il santo monastero,
da file di platani e di pioppi
era circondato, e qualche volta,
allo scender della notturna tenebra,
appariva alla finestra d'una cella
tra gli alberi, la lampada di una
giovane peccatrice. E, fra i mandorli,
dove file di tristi croci stavano,
silenziose guardiane delle tombe,
cantavano i cori di aerei uccelli.
Saltavan sulle pietre mormorando
di freschissima acqua le sorgenti,
e sotto la montagna incombente
confluendo, amiche, nella gola,
più oltre, scorrevano, fra i cespugli,
di fiorelli di brina ricoperti.


IV

E verso nord si vedono le montagne,
al brillare di mattiniera aurora,
quando l'azzurreggiante esile fumo
dalla valle profonda si innalza,
e volgendosi alla plaga d'oriente
chiamano i muezzin alla preghiera,
e rintocca la squillante campana
risvegliando col suono il convento;
nel solenne pacifico momento,
quando la giovane donna di Georgia
va con la lunga brocca a prendere l'acqua
scendendo per la ripida montagna
si stagliano allora nel puro cielo
le innevate vette della catena
dei monti, chiara, violetta muraglia;
e poi si vestono all'ora del tramonto
d'una fascia scarlatta le montagne;
e fra esse, le nubi trafiggendo,
si innalza sopra tutte con la vetta
il possente Kazbek, il re del Caucaso,
con il turbante e veste di broccato.


V

Ma, colmo di un colpevole pensiero,
non lascia il cuore di Tamara spazio
ai puri impeti. Davanti a lei
tutto il mondo riveste un'ombra cupa;
tutto è in lei pretesto di tormento:
dell'alba il raggio e della notte l'ombra.
A volte non appena la frescura
della notte scendeva sulla terra,
davanti all'icona del Signore
cadeva in sua follia Tamara,
per piangere, e nel notturno silenzio
il gridare del suo dirotto pianto
del viandante turbava l'attenzione.
Che pensava forse al lamentarsi
dello spirito montano inchiodato
alla sua grotta antica, e il fine orecchio
tendeva e lo stanco destriero incalzava.


VI

Colma d'angoscia e di tremore, stava
Tamara spesso alla sua finestra
e con in testa un unico pensiero
con occhio attento guardava lontano:
e tutto il giorno, sospirando, aspetta...
A lei qualcuno mormora: verrà!
E non invano erano dolci i sogni,
e non invano egli appariva a lei,
con i suoi occhi colmi di tristezza
con tenera voce meravigliosa
da molti giorni ormai ella languisce
senza saperne lei stessa il motivo:
ora desidera pregare i santi,
ma il cuore manda la preghiera a Lui;
stremata dalla lotta quotidiana,
sul letto del riposo ora si corica:
il suo cuscino brucia. E soffoca
Tamara, ed ha paura, e trema tutta.
Ed il suo petto avvampa, e le sue spalle,
più non respira, negli occhi ha la nebbia,
avida attende che l'abbracci e stringa,
e sulla bocca si sciolgano i baci...



VII

L'aereo mantello della sera
già ricopriva i colli della Georgia.
Obbediente al suo dolce costume
al monastero il Demone volava.
Per lungo tempo Egli non osò
turbare la santità di quel placido
e mite asilo. E ci fu un momento
in cui gli parve giusto abbandonare
il suo crudele intento. Eccolo errare,
nel suo pensiero assorto, presso il muro
del convento: e tremola una foglia
nell'aria senza il vento della sera.
Alla finestra splende una lucerna:
la guarda il Demone. Tamara attende.
E nel silenzio dominante ascolta
lo spirito un suono di cingura (*) :
d'una canzone echeggiano le note,
i dolci e tristi suoni confluiscono,
come lacrime, in ritmo armonioso;
tenera e bella è la canzone, come
se per la terra l'avessero creata
musici angeli su nell'alto cielo!
E forse proprio un angelo bramava
di riveder l'amico di lontani
tempi remoti, e quaggiù volato
era furtivamente, e gli cantava
per consolarlo, del passare del tempo.
E solo allora il Demone capì
l'angoscia dell'amore e l'emozione.
Voleva allontanarsi, nel terrore...
Ma non riusciva a muovere le sue ali!
E, che prodigio! Dai suoi spenti occhi
ecco che scese una lacrima di piombo.
Ancora oggi presso quella cella
sta la pietra trafitta dall'ardente,
dalla lacrima ardente come fiamma,
la lacrima dell'Angelo Perduto!...

(*) La cingura è una specie di chitarra georgiana.


VIII

Ed Egli entra, è pronto ad amare,
con l'anima ad ogni bene aperta,
e pensa che di una vita nuova
è finalmente giunto il tempo atteso.
Il tremito confuso dell'attesa,
una paura silenziosa e incerta,
quasi fosse d'amore il primo incontro,
questo conobbe l'anima orgogliosa.
Era solo un triste presentimento.
Entra: e vede che davanti a lui stava,
messaggero del cielo, un cherubino,
aiuto per la bella peccatrice:
l'Angelo sta, col volto fiammeggiante
con l'ala la protegge dal nemico,
il suo sorriso è limpido e chiaro.
Della divina luce un raggio d'oro
l'impuro sguardo ad un tratto acceca,
così invece di un tenero saluto,
ascolta il Demone una rampogna:


IX

"Spirito inquieto, spirito del Male,
chi ti ha chiamato nella notturna ora?
Non c'è nessuno qui dei tuoi devoti,
e qui il Male non ancora spira.
Non avanzare il criminoso passo
verso l'amore sacro, il mio amore.
Chi ti ha chiamato?"
Ed in risposta a lui
perfido rise l'Angelo Maligno,
E di gelosia arse il suo sguardo,
e di nuovo si risvegliò nell'anima
tutto il veleno del suo odio antico.
"Tamara è Mia!" - disse minaccioso -
"Lasciala stare, ché Tamara è Mia!
Troppo tardi apparisti, difensore,
suo giudice non sei, e neppur mio.
Sul mio cuore, ch'è gonfio di Superbia
già ho stampato il mio sigillo forte;
al tuo sacrale imperio qui non c'è posto,
questo è il mio regno, questo il mio amore!"
e l'Angelo del Cielo tristemente
volse gli occhi alla povera Tamara
e agitando tristemente l'ali
nell'etere celeste sprofondò.



X

TAMARA:

Chi sei? è pericolosa la tua voce.
Vieni dal cielo o dall'inferno?
Che cosa vuoi da me?


IL DEMONE:

Tu sei bellissima!


TAMARA:

Parlami dunque. Di' chi sei. Rispondi.


IL DEMONE:

Io sono Colui la cui voce ascoltavi,
tu, nel silenzio della mezzanotte,
il cui pensiero all'anima parlava,
la cui tristezza tu riconoscesti,
la cui immagine vedevi in sogno.
Il mio sguardo uccide ogni speranza;
Io son colui che nessuno può amare.
Dei miei terreni schiavi son la frusta,
sono Il Signore di Scienza e Libertà:
Nemico del Cielo, son della Natura
Il Male. E sono qui, ai piedi tuoi!
Per la tua tenerezza t'ho portato
la placida preghiera dell'amore,
il mio primo dolore sulla terra,
e le lacrime prime che ho versato.
Ascoltami, ti prego, per pietà.
Soltanto tu con la tua voce puoi
restituire me al bene e al Cielo.
Protetto dal mantello del tuo amore
a Me sarà concesso di salire
lassù, Angelo Nuovo in Nuova Luce;
O, ti prego: ascoltami soltanto:
Io sono il tuo schiavo. E ti amo!
Ché, non appena Io ti ho veduta,
nel mio cuore segreto ho odiato
la mia immortalità ed il potere.
E involontariamente ho invidiato
l'imperfetta gioia della gente;
ho provato il dolore di non vivere
come te, e l'orrore d'esserti lontano.
Un inatteso raggio nel mio cuore
più caldo e vivo di nuovo s'è acceso,
e la tristezza della ferita antica,
come un serpente, s'è mossa. Che importa
a me senza di te la vita eterna?
Dei miei possessi il numero infinito?
Solo vuote parole senza senso,
una vasto tempio, ma senza il dio.


TAMARA:

Lasciami dunque, o spirito maligno!
Come posso mai credere al nemico?
Aiutami, Signore! Ma non posso
pregare. Come un veleno misterioso
indebolisce ormai la mia mente!
Ascolta dunque, tu che mi uccidi:
le tue parole son veleno e fuoco...
Dimmi almeno per quale scopo tu mi ami!


IL DEMONE:

Perché non so, bellissima Tamara.
Mi sento colmo di una nuova vita,
mi son tolto dall'ardita testa
la corona di spine della colpa,
in polvere ho gettato il mio passato:
l'Inferno e il Paradiso è nei tuoi occhi.
Di non terrestre passione Io ti amo.
Un tale amore ricambiar non puoi.
Con tutto il mio potere, con l'ebbrezza,
dell'Immortale mio pensiero e sogno.
Dal principio del mondo, a me nell'Anima,
sta impresso il sigillo del tuo volto:
il tuo volto lo vedevo a me davanti
nei deserti del sempiterno cielo.
Da tanto tempo inquieta la mia anima
la risonanza dolce del tuo nome.
Nei giorni della vita in Paradiso
soltanto tu mancavi, solo tu.
Magari tu comprendere potessi
quel mio languire amaro, la mia vita
tutta la vita per infiniti secoli,
di amara gioia e amara sofferenza.
Senza attendermi lodi per il male,
e senza ricompense per il bene,
per sé solo vivere, e nella noia,
e in questa lotta senza mai vittoria,
in questa lotta senza mai la pace!
Aver sempre rimpianti e non averli,
tutto sapere, sentire e vedere,
cercare di odiare sempre tutto
e disprezzare proprio tutto al mondo!...
E sol quando la condanna di Dio
fu pronunciata, proprio da quel giorno
per sempre gelidi per me divennero
della natura i caldi abbracci.
Era azzurro lo spazio a me davanti,
ed io vedevo, come adorne a nozze
le belle stelle, a me ben conosciute...
esse fluivano in corone d'oro;
ma che accadeva? l'antico fratello
nessuna di esse riconosceva.
Cominciai, nella mia disperazione,
gli altri proscritti ad invocare,
ma ahimé non riconobbi, Io Stesso,
se non volti, e voci, e maligni sguardi.
Pieno d'orrore mi slanciai, le mie ali
aprendo al volo: ma perché? Ma dove?
Non sapevo: scacciato dagli amici
miei d'un tempo, come dall'antico Eden,
per Me divenne il mondo e muto e sordo.
Così al capriccio di onde e correnti
corre la barca danneggiata, senza
più alcuna vela e senza più timone,
e naviga senza saper la meta;
così sul fare del mattino, all'alba
un frammento di nube tempestosa
nel cielo azzurro, tutto nereggiante,
vola smarrito, e non trova sosta,
senza alcuno scopo e senza traccia:
e dove va lo sa soltanto Iddio!
Per qualche tempo ho guidato gli uomini,
tutti i peccati ho insegnato loro,
ogni nobile impresa ho calunniato,
ho denigrato ogni cosa bella;
Per breve tempo... e subito la fiamma
della pura fede ho spento in loro...
A che son valse queste mie fatiche
per questa gente sciocca e traditrice?
Mi nascosi così nelle profonde
grotte, oppure errai come meteora
nella profonda ombra della notte...
E galoppai in corsa solitaria
dalle vicine luci ingannato;
e caddi col cavallo negli abissi,
chiamando invano, e lasciando dietro,
sulle montagne, tracce sanguinose...
Ma del Male i tenebrosi diletti
mi piacquero solo per breve tempo!    
In lotta col potente uragano,
come sovente, sollevando polvere,
rivestito di fulmini e di nebbia,
correvo tra le nubi con frastuono
per soffocar nella ribelle folla
degli elementi il ribollir del cuore,
per salvarmi da tormentosa idea,
per dimenticar ciò che non potevo!
Che importa ricordar la lunga serie
delle tragedie e dei dolori umani
passati, e del futuro: che mai sono
di fronte ad un minuto solo delle
mie ignorate, oscure sofferenze?
L'umanità? La vita, le fatiche?
L'uomo è passato e passerà ancora...
c'è una speranza forse: il suo giudizio (*) :
Anche se condanna, forse perdona!
Ma la mia tristezza non può mutare,
come per me, essa non avrà mai fine;
e non potrà dormire in una tomba!
Ora come un serpente mi blandisce
ora mi brucia e frusta come fiamma
ora mi opprime, come una pietra,
sepolcro indistruttibile di tutte
le mie morte speranze e le passioni!

(*) Il giudizio di Dio; forse il Demone vorrebbe essere perdonato, e spera che attraverso Tamara e il suo amore, o "intercessione", Dio lo perdoni.



TAMARA:

Perché dovrei saper della tristezza
per cui con me ora ti lamenti e piangi?
Tu hai peccato...


IL DEMONE:

Contro di te, forse?


TAMARA:

Ci possono sentire.


IL DEMONE:

Siamo soli.


TAMARA:

E Dio?


IL DEMONE:

Non ci degna nemmeno d'uno sguardo.
Il Cielo gli interessa, non la terra!


TAMARA:

E i tormenti, le pene dell'Inferno?


IL DEMONE:

Che t'importa? Laggiù sarai con me.


TAMARA:

Chiunque sia, mio casuale (*) amico,
tu che vai distruggendo la mia pace,
pur non volendo, ma con gioia segreta,
o anima che soffre, io t'ascolto,
ma se la tua parola è maliziosa,
e se nascondi l'inganno nel cuore...
Ma perdonami. Quale gloria avresti?
Che può importare a te della mia anima?
Son forse al ciel più cara delle donne
che tu non hai degnato? Non sono esse
molto più belle della mia bellezza?
Né mano d'un mortale ha sgualcito
neppure il loro letto verginale...
No! Dammi il tuo solenne giuramento...
Dimmi: tu vedi che anch'io soffro,
e tu conosci i sogni femminili!
Nell'anima fai sorgere il timore...
Ma tu capisci tutto e tutto sai:
E quindi deve aver pietà di me.
Giurami dunque: dalle seduzioni
maligne salvami, da' la promessa.
O forse non ci sono più promesse
né inviolabili giuramenti?

(*) La parola "casuale" può suscitare qualche dubbio: per Tamara il Demone è una presenza casuale, cioè fuori da un certo disegno. Ma la casualità non spiega nulla: per quale mistero il Demone sceglie Tamara e non altre? ("Son forse al ciel più cara delle donne
che tu non hai degnato? Non sono esse
molto più belle della mia bellezza?")


IL DEMONE:

Per il primo giorno dell'universo
e per l'ultimo giorno del creato
lo giuro, e per la vergogna del crimine,
per il trionfo della verità,
per l'amaro dolor della caduta,
e per il breve sogno di vittoria;
lo giuro, per questo incontro con te,
e per il distacco che ci attende.
Lo giuro per tutta la moltitudine
di spiriti sottomessi a Me
e per le spade degli angeli insonni
senza passioni, che a me son nemici;
lo giuro per il Cielo e per l'Inferno
per il sacrario della terra e tuo,
lo giuro per un ultimo tuo sguardo,
per la tua prima lacrima lo giuro,
per il sospiro delle tue pure labbra,
per l'onda dei tuoi serici capelli,
lo giuro per la gioia e la sofferenza,
e lo giuro per tutto il mio amore:
il desiderio antico di vendetta
per sempre ho abbandonato, e la superbia;
il veleno di perfida lusinga
ma più non turberà le menti umane:
ormai col Cielo voglio far la pace,
e voglio amare, e con la preghiera
voglio desiderare e fare il bene.
Con una lacrima di pentimento
cancellerò dalla mia fronte, degna
di te, le tracce del celeste fuoco,
e che tranquillo fiorisca il mondo
senza di me nell'ignoranza sua!
Credimi dunque, io soltanto, adesso
son giunto fino a te, e t'ho giudicata:
ho scelto te come il mio sacrario,
ed ai tuoi piedi ho posto il mio potere.
E come un dono attendo il tuo amore,
e ti darò, in cambio di un momento,
l'eternità. Credimi, Tamara,
Io nell'amore, come nell'odiare,
sono Immutabile, e sono Grande.
Te dunque Io, dell'Etere Figlio,
porterò nelle plaghe oltre le stelle,
dell'universo tu sarai regina,
mia prima amica, e senza rimpianti
e senza brama guarderai la terra,
dove non c'è felicità sincera,
né bellezza che a lungo si mantenga,
la terra dei delitti e delle pene,
e soltanto di misere passioni,
dove non sanno, senza timore o ansia,
non sanno odiare, e non sanno amare.
Forse tu non sai che cos'è l'amore,
l'effimero amore della gente?
Del giovanile sangue l'emozione
e col tempo il raggelarsi del sangue?
Che cosa s'opporrà contro il distacco,
la tentazione d'una bellezza nuova,
contro la stanchezza, contro la noia,
e contro il sogno di un capriccio nuovo?
Ma non a te, mia cara amica, è dato
dalla sorte d'appassire silenziosa
come schiava di rozza gelosia,
e soffocare come in chiuso carcere,
fra gente pusillanime e fredda,
tra finti amici e fra nemici veri,
tra paure e sterili speranze,
tra inutili e gravose fatiche!
Senza passioni, non appassirai,
con la tristezza, dietro l'alto muro,
tra le preghiere, lontana ugualmente
dalla divinità e dalla gente.
O no, mia bellissima creatura,
ad altra sorte sei predestinata,
un'altra sofferenza ora t'attende,
nuove, diverse estasi profonde;
lascia dunque i tuoi vecchi desideri,
ed il misero mondo al suo destino:
l'abisso dell'ardita conoscenza
in cambio a te Io vorrò rivelare.
E ai piedi tuoi la folla Io condurrò
di tutti i Demoni a Me devoti,
e ti darò, bellissima Tamara,
aeree ancelle ed incantate;
e strapperò per te dalla stella
orientale la corona d'oro,
e prenderò dai fiori la rugiada,
e la corona bagnerò con questa,
e con il raggio del tramonto rosso
con un nastro circonderò il tuo corpo,
con il profumo puro degli aromi
l'aria che è intorno a te farò odorata,
sempre con una musica divina
il tuo udito cullerò, e luminosi
incantati palazzi costruirò,
palazzi fatti d'ambra e di turchese,
poi scenderò nel vortice del mare,
e volerò in alto, oltre le nubi,
e tutto ti darò, tutta la terra.
Amami dunque!... 
 

XI

E lievemente con le
Sue ardenti Labbra sfiorò la bocca,
della fanciulla le tremanti labbra;
con le parole seduttrici il Demone
alle preghiere di lei rispondeva.
Profondamente la guardò negli occhi!
E la bruciò. Nel buio della notte
su di lei la sua luce risplendeva
irresistibile: come un pugnale.
lo Spirito Maligno trionfava!
Il veleno mortale del suo bacio
subito entrò nel cuore di Tamara.
Un grido di tormento e di terrore
il silenzio notturno lacerò.
C'era l'amore in quel grido, e il dolore,
c'era il rimprovero e l'ultima prece,
e un saluto disperato, un addio
alla giovane vita ormai perduta.


XII

Proprio in quell'ora il guardiano di notte
solo, intorno alla muraglia erta
compiva silenzioso la sua ronda,
andava con la tavola di ghisa,
e rallentò il suo passo misurato
presso la cella della giovanetta.
Con l'animo turbato si fermò,
la mano sulla tavola di ghisa
e nel silenzio che regnava intorno
gli parve di sentire come il bacio
di due bocche frementi e innamorate,
un breve grido e un debole lamento.
E nel suo cuore sorse un dubbio,
un disonesto dubbio che svanì.
Ma fu soltanto un momento breve;
e tutto tacque: solo, di lontano
s'udiva appena soffiar un lieve vento,
che recava il mormorio di foglie.
E con l'oscura riva, con tristezza,
il montano ruscello sussurrava.
Recita il vecchio, tutto spaventato,
d'un santo martire la preghiera,
per cacciare dalla mente in peccato
lo Spirito Maligno ch'era dentro;
con le dita tremanti egli segna
il suo petto turbato da un pensiero
ed in silenzio con rapidi passi
la sua solita ronda ora prosegue.


XIII

Dolce come una peri (*) addormentata
riposa la fanciulla nella bara,
e più bianco e più puro di un velo
era il pallore languido del volto.
Abbassate per sempre son le ciglia...
Ma chi poteva dire se lo sguardo
sotto le ciglia fosse addormentato,
o per prodigio forse s'attendesse
magari un bacio, oppure l'aurora?
Ma era inutile, il raggio del giorno
che come un'onda d'oro scivolava
sul suo bel volto e invano in una muta
tristezza quelle labbra ora baciava...
No: della morte il sigillo eterno
nessuno ormai poteva più strappare!


(*) Peri è una parola persiana, che nella
mitologia iranica indicava una specie di fata,
protettrice degli uomini


XIV

Mai fu così, nei giorni della gioia,
di così vari colori fiorito,
fu il festivo colore di Tamara.
I fiori della sua nativa valle
(così richiede il rituale antico)
versano su di lei il loro aroma,
e stretti fra le sue mani morte
sembra che voglian salutare la terra!
E non c'è sul suo volto segno alcuno
che dica della morte di Tamara
nell'acme dell'ebbrezza e dell'amore;
ed eran colmi i suoi lineamenti
d'una fredda, marmorea bellezza
senza espressione, e del tutto priva
di ogni sentimento e di ragione:
come la morte, piena di mistero.
Come un sorriso strano e freddo sulle (*)
sue labbra si intravvedeva.
O, molte tristi cose che esso diceva
agli occhi che lo guardassero attenti:
c'era in esso un gelido disprezzo
dell'anima già pronta a sfiorire,
l'espressione dell'ultimo pensiero,
e un silenzioso addio alla terra,
della perduta vita il vano lampo.
Ella sembrava ancor più morta, ancora
senza alcuna speranza per il cuore,
negli occhi che per sempre s'eran spenti,
così nell'ora del tramonto splendido,
quando disciolto in quel mare d'oro
la carrozza del giorno s'è nascosta,
le nevi del Caucaso, per un momento,
un riflesso purpureo serbando,
risplendon nell'oscura lontananza;
ma quest'ultimo raggio non più vivo
non trova alcun riflesso nel deserto,
ed a nessun indicherà la strada
dalla sua altitudine ghiacciata...

(*) il sorriso di Tamara morta, costituisce
uno dei punti più misteriosi e affascinanti
del poema. Riflette che cosa? L'oltretomba,
il nulla? Ma che c'entra il sorriso con il nulla?
O forse la speranza di essere risvegliata,
come la Bella Addormentata nel Bosco?
O forse il ricordo per così fermatosi
sulle sue labbra del bacio travolgente del Demone?
I fiori che stanno intorno a Tamara la avvicinano
a Ofelia e a Giulietta.


XV

E i vicini e i parenti in folla
son già riuniti per il triste viaggio.
Tormentandosi i canuti capelli
Gudàl si batte silenzioso il petto,
e per l'ultima volta ora sale
sul cavallo dalla criniera bianca,
ed il corteo si muove. Tre giorni
e tre notti durerà il cammino.
Tra le vecchie ossa degli antenati
hanno scavato a lei un tranquillo asilo.
Un avo di Gudàlm saccheggiatore
di pellegrini e di villaggi, quando
la malattia a letto l'inchiodò
e giunse a lui del pentimento l'ora,
a riscatto delle sue molte colpe
promise di erigere una chiesa
su quelle alte montagne di granito,
dove solo si sente la canzone
della bufera, e dove il nibbio vola.
E presto tra le nevi del Kazbek
s'innalzò un solitario tempio,
e lassù le ossa di quel malvagio
di nuovo ritrovarono la pace.
E la roccia, sorella delle nubi,
in un cimitero fu trasformata:
Come se, essendo al cielo più vicina,
fosse più calda la casa della morte...
come se più lontana dalla gente
l'ultimo sonno più non disturbasse...
Ma più non sognano i morti la gioia
o la tristezza dei passati giorni.


XVI

Nello spazio dell'etere azzurro
uno dei santi angeli volava,
volava con le sue ali d'oro
e tra le sue braccia egli portava
via dal mondo un'anima peccatrice.
E con dolci parole di speranza
tutti i suoi dubbi egli dissipava,
lavandole dal volto con le lacrime
della sua storia, del suo patir le tracce.
E di lontano già dal Paradiso
gli giungevano i canti, ma a un tratto
dall'abisso lo Spirito del Male
sorse, sul loro libero cammino.
Era Possente come tromba d'aria,
e come fulmine Egli risplendeva,
e nella sua follia ed arroganza
Egli gridò: "Tamara è solo Mia!".
Al petto del suo angelo stringendosi
l'orrore soffocò con la preghiera
l'anima peccatrice di Tamara.
Il suo futuro ora si decideva,
Egli stava davanti a lei di nuovo,
ma, O Dio, chi lo riconosceva?
Or la guardava con Maligno Sguardo,
e ribollente del mortal veleno
del suo odio, un odio senza fine,
e dal suo Volto immobile spirava
il Gelido Orrore del Sepolcro.

"Sparisci, oscuro Spirito del dubbio!"
Gli rispose del Cielo il messaggero:
"Il tuo trionfo è stato troppo lungo;
è ora giunto il tempo del giudizio,
e del giusto decreto del Signore!
I tempi delle prove sono finiti;
le catene del Male son cadute
dalla veste mortale di Tamara.
L'attendevamo ormai da molto tempo!
L'anima di Tamara era di quelle
la cui vita è un unico momento
di un insopportabile dolore,
e di mai raggiungibili diletti:
Il Creatore col più puro etere
le loro vive corde ha intessuto.
Per il mondo esse non furono create
e non per loro fu creato il mondo!
Essa pagò con un crudele prezzo
tutti i suoi dubbi ed i suoi errori...
Ma ha sofferto Tamara ed amato,
e all'amore si è aperto il paradiso."

E l'angelo col suo severo sguardo
guardò negli occhi il Tentatore, e poi
agitando con gioia le sue ali
nell'azzurro del cielo sprofondò.
E maledisse il Demone sconfitto
i suoi sogni di follia e di amore,
e di nuovo Egli rimase, altero,
nell'universo, e solo come prima,
senza speranza alcuna. E senza amore...!

Sulla fiancata d'un roccioso monte
di Kojsauri sopra la vallata
s'ergono ancora fino ai nostri giorni
i frammenti d'un antica rovina.
Le tradizioni ancora sono piene
di fole che spaventano i bambini...
Come fantasma, memoria silenziosa
di quei tempi incantati, testimone,
tra gli alberi nereggian le rovine.
Il villaggio è disperso nella valle,
e la terra fiorisce e verdeggia;
lo scompigliato rombo delle voci
si perde, e lente carovane vanno,
vanno lontano, al suon dei campanelli.
E scintilla e schiumeggia il bel fiume
precipitando giù, fra l'alte nebbie.
E d'una vita eternamente giovane,
della frescura, del sole e primavera
gioisce qui scherzando la natura,
come un bambino ch'è senza pensieri.
è così triste quel castello, dopo
aver servito per così tanti anni,
come un vecchio che sia sopravvissuto
ai suoi amici e alla famiglia amata.
I suoi invisibili abitanti
attendon solo il sorgere della luna:
ed è la loro festa e libertà.
E corrono ronzando dappertutto.
Il canuto ragno, nuovo eremita,
tesse le basi delle sue reti.
Di lucertole verdi una famiglia
ora sul tetto lietamente gioca,
e striscia fuori il cauto serpente
dall'oscura fessura, sulla pietra,
sulla soglia del vecchio pianerottolo,
in tre anelli ora s'attorciglia,
ora giace come una lunga striscia
e brilla come una spada istoriata,
dimenticata sul campo di antiche
battaglie, inutile all'eroe caduto!...
Tutto è selvaggio, non ci sono tracce
dei passati anni. La mano del tempo
accuratamente li ha cancellati,
e niente più ci parla alla memoria
delle imprese del celebre Gudàl
e di Tamara, la sua cara figlia.
Ma sull'erta montagna c'è una chiesa,
dove la terra serba le loro ossa,
dove un sacro potere le conserva.
E si vede la chiesa tra le nubi
ancor oggi, e alle sue porte stanno
le rocce nere di granito a guardia,
coperte dagli strati della neve;
sul loro petto, invece di corazze,
risplendono i ghiacci secolari.
Le masse sonnolente di valanghe
sono sospese al ciglio delle rocce
come cascate che il gelo ha rinserrato:
e con cupo aspetto pare che attendano.
Come di guardia scorre la bufera
la polvere soffiando dalle mura,
ora riporta una canzone lunga,
ora sembra chiamar le sentinelle.
Ascoltan le notizie di lontano
sul tempio prodigioso, in quel paese,
solo le nubi vengono dall'oriente
e s'affrettano a porgere il saluto;
ma su tutte le pietre delle tombe
nessuno più si reca con dolore.
E del monte Kazbek la cupa roccia
ha in avida custodia la sua preda,
e dell'uomo l'eterno mormorare
la loro pace eterna più non turba.


Commento all'opera

Nota di Lunaria: qualche informazione in più... e un mio commento critico all'Opera di Lermontov.

"Il Demone" fu iniziato nel 1829 da un Lermontov sedicenne,


e concluso nel 1841. Nelle sue otto redazioni (di cui una, la settima, non c'è pervenuta) il Poema si configura come uno dei Capolavori della Letteratura Russa, oltre che della Letteratura Romantica Europea (personalmente adoro anche il "Lucifero" di Eminescu, Autore Romeno, che consiglio, e che viene chiamato "il Byron Romeno"  http://poesiamondiale.blogspot.it/2015/08/mihai-eminescu.html ).
Il tema, l'amore del Demone (forse Satana o Lucifero) non è nuovo nella letteratura romantica: nell'Ottocento, per esempio, Byron aveva già scritto "Il Cielo e la Terra" (1823) seguito dall'"Eloah" di De Vigny (autore celebre anche per dei poemi a sfondo cristiano, e, che rispetto a Lermontov, mantiene riferimenti stilistici più "distaccati" ed "antiquati"  http://poesiamondiale.blogspot.it/2015/08/alfred-de-vigny.html ). Sempre nel 1823 anche Thomas Moore scrive "Amori degli angeli" (purtroppo, credo non sia reperibile: io l'ho cercato parecchio nelle biblioteche, ma non sono riuscita a trovarlo).

Nell'800 il mito di Satana, del Ribelle, ha senz'altro influenzato i Romantici, tanto che per un periodo, fiorirono diverse opere "sataniche". Che il Satana Ottocentesco sia metafora della Ribellione (allo stato, alla chiesa, al padre - pensiamo anche a Turgenev e al suo "Padri e figli", 1862, che per primo delineava il Nichilismo come "rivolta al vecchio") o dell'anelito alla Scienza, alla Cultura Libera (Carducci, D'Annunzio, Baudelaire) è abbastanza evidente, e come già leggevo in Sandro Maggiolini, il nostro secolo ha messo non solo Dio tra parentesi, ma anche Satana: il primo non è che un dolcificato simulacro dell'amore, secondo una visione cristiana da "zucchero filato", che con molto imbarazzo, cerca di svestirsi dalla pesante e ingombrante eredità mortificante e oscura del passato, mentre il secondo, è diventato un pretesto per satanismo farlocco da teen-ager.

è interessante citare che il tema dell'amore degli angeli nasce proprio dalla Bibbia: "Allora i Figli di Dio videro le figlie degli uomini, e videro che erano belle, e le presero in moglie, ciascuna secondo la scelta". Da qui, la magia, "la stregoneria", quando gli angeli (non solo caduti nella ribellione satanica, ma sposati alle donne, e poi successivamente cacciati) insegnarono le Arti Magiche (ma anche la Matematica, la Geometria...) alle donne.
Satana visto come una sorta di Prometeo o Benefattore dell'umanità, a cui ha donato la Conoscenza, è sicuramente il tema cardine del Luciferismo, del Palladio, "La Luce della Conoscenza nel buio dell'oscurantismo di stampo clericale". Allego la riproduzione del Palladio "di stampo massonico", del 1888.


Anche il Satana miltoniano, nel "Paradiso Perduto" http://deisepolcriecimiteri.blogspot.it/2017/10/il-satana-miltoniano.html appare come un Ribelle, contro il Dio severo e dispotico del giudaismo/patriarcato, e le simpatie del lettore, in fondo, vanno quasi a Satana e al suo tentativo eroico ed energico, benché votato allo scacco, di Ribellione. Strano, verrebbe da commentare, per un autore, come Milton, di educazione puritana!



Byron e Goethe, invece, hanno preferito dotare Lo Spirito del Male di un'analisi quasi filosofica, e per un parallelo, mi verrebbe da citare anche l'Opera "I Masnadieri"(1781) di Schiller, nel monologo del bandito, che sembra quasi "mefistofelico":

"Comunque tu sia indicibile eternità , solo questo mio io mi resta fedele...
Comunque tu sia, porterò con me solo me stesso.
Le cose esteriori sono solo l'apparenza dell'uomo... Io sono il mio Cielo e il mio Inferno".

Pensando al Diavolo, vengono senz'altro in mente anche le derive misogine e sessuofobiche del Medioevo: la donna, vista come strega, quindi, concubina del Diavolo. Laddove secondo la fantasia malata degli Inquisitori, Satana si congiungeva in forme orribili, con altrettante donne orribili, in Lermontov il bacio del Demone appare sublime, quasi etereo, come del resto anche Tamara è candida e verginale (una sorta di Madonna angelicata).

Originale anche la scelta di Lermontov, che ambienta il suo Poema nelle zone montuose del Caucaso, la Georgia.

"Il Caucaso era un fatto del sublime, con le sue nevi, le sue bufere, con l'incombere minaccioso, terribile, delle pareti montane, con le strade vertiginose, con la sua terrestrità che si riflette sui personaggi".

Vengono quasi in mente i bellissimi dipinti di Friedrich, il Pittore del Sublime!
( http://deisepolcriecimiteri.blogspot.it/2017/06/introduzione-alla-pittura-di-friedrich.html)

Il Poema, si conclude con la morte di Tamara, che "viene portata in Paradiso",


mentre Il Demone vive la perdita del suo amore, e come lasciava trapelare qualche verso del Poema, anche la sua speranza di Salvezza e Redenzione.

Per finire, citiamo il concetto dell'Apocatastasi: la possibilità che Satana, alla fine dei tempi, si salvi, come prova della grandezza di Dio.   

Per ulteriori approfondimenti, vedi:

- Il Caino, il Lucifero e il Manfred di Byron  ( http://deisepolcriecimiteri.blogspot.it/2017/09/byron-commento-al-manfredi-caino.html )

- ''Il Re delle Tenebre'' di Nikolaj Rajnov

- Il "Faust" di Goethe

- e soprattutto, il fondamentale Milton ( http://deisepolcriecimiteri.blogspot.it/2017/10/il-satana-miltoniano.html )

Oltre a Carducci e al suo "Satana scientifico",

si può citare anche Lèo Taxil

"Vieni, Lucifero, vieni! O calunniato dai preti e dai re! Vieni, che noi ti abbracciamo, che noi ti stringiamo sul nostro petto! E’ molto tempo che noi ti conosciamo e tu conosci noi! Le tue opere, o benedetto del nostro cuore, non sono sempre belle e buone, agli occhi degli ignoranti, ma esse sole danno un significato all’Universo. Tu solo animi e fecondi il lavoro. Tu nobiliti la ricchezza; tu servi di essenza all’autorità; tu metti il suggello alla virtù … E tu, Adonai, dio maledetto, noi ti rinneghiamo! Il primo dovere dell’uomo intelligente e libero è quello di scacciarti dal suo spirito e dalla sua coscienza. Perché tu sei essenzialmente ostile alla nostra natura, e noi non dipendiamo per nulla dalla tua autorità. Noi giungiamo alla scienza tuo malgrado, alla prosperità tuo malgrado, alla società tuo malgrado; ciascuno dei nostri progressi è una vittoria nella quale schiacciamo la tua divinità.
Spirito mendace, Dio imbecille, il tuo regno è finito: cerca fra i bruti altre vittime. Ora, eccoti detronizzato e distrutto. Il tuo nome per troppo tempo ultima parola del sapiente, sanzione del giudice, forza del principe, speranza del povero, rifugio del colpevole penitente, questo nome incomunicabile Padre Eterno, Adonai e Jehovah, d’ora in poi votato al disprezzo e all’anatema, sarà dileggiato tra gli uomini.
Il tuo nome è goffaggine e viltà, ipocrisia e menzogna, tirannia e miseria. Fintanto che l’umanità si inginocchia davanti al tuo altare, l’umanità schiava dei re e dei preti sarà riprovata; fintanto che un uomo, nel tuo nome esecrabile riceverà il giuramento di un altro uomo, la società sarà fondata sullo spergiuro e la pace e l’amore saranno banditi fra i mortali …
Dio, ritirati! poiché sino da oggi, guariti dal tuo timore e divenuti sani, giuriamo, con la mano sollevata verso il tuo cielo, che tu non sei se non il carnefice della nostra ragione e lo spettro della nostra coscienza!"

e Mario Rapisardi



Anche  "La Bas (L'Abisso)" di J.K. Huysmans è un classico del "Satanismo letterario", anche se l'opera di Huysmans dà spazio a scene quasi grottesche di blasfemia e manca del fascino poetico degli autori che ho citato qui sopra... piuttosto, è pregno di una vena quasi pessimistica e di disgusto della condizione umana... ( http://intervistemetal.blogspot.it/2017/08/la-blasfemia-black-metal-la-sua-origine.html )


Per una visione moderna e romantica del mito dell'angelo della morte, vedi la "Touched Saga"



Infine, anche se il tema meriterebbe un commento molto più esteso, ricordiamo che Satana può diventare metafora anche delle battaglie e delle rivolte contro i tiranni e le dittature: il Titanismo lo celebrava come colui che si era ribellato al dio padre, simbolo di ordine pre-costituito e dittatoriale, e in senso metaforico, come simbolo della lotta contro la dominazione straniera (ideali risorgimentali) o il dominio papista, o ancora, come metafora del Singolo Io (Stirneriano) che si ergeva al di sopra della mediocrità della massa-gregge di pecore obbedienti e belanti. In una prospettiva parzialmente femminile (*), Satana diventa il simbolo della lotta contro il patriarcato monoteista misogino: la donna ribelle a tale ordine è "satanica" proprio perché non obbedisce: NON SERVIAM. Peraltro si noti che nel Satanismo, contrariamente al monoteismo, la donna è sacerdotessa tanto quanto l'uomo.


(*) Parzialmente femminile, perché Satana è ipostatizzato al maschile, rappresentando un concetto maschile di divinità, esattamente come il cristo o il dio padre; pertanto, non può simboleggiare la donna dal punto di vista fisico (Ipostasi del Corpo Fisico Femminile Magnificato) ma solo dal punto di vista del pensiero e dell'azione (la ribellione all'autorità dittatoriale). Più propriamente, per riferirsi ad un'Ipostasi del corpo femminile e all'identità psichica della donna che non dipendi o parta da presupposti maschili (ovvero per sviluppare una prospettiva ginocentrica alla questione-donna), si deve ricorrere agli archetipi delle Dee.

 Altro approfondimento

Cinque brani, che metto a confronto, su Satana, visto come metafora dell'Esserci umano, tra tentativo di rivolta ad un destino di malattia e morte, il non senso delle disgrazie che subiamo, il silenzio di Dio di fronte al grido di dolore e di aiuto dell'essere umano, che di fronte a questo Dio Muto, che appare come disinteressato, o persino compiaciuto nel vedere l'uomo-burattino alla deriva, si identifica col Primo Ribelle, quasi augurandosi un destino di dannazione piuttosto che riconoscere amorevole un Dio Assente al nostro grido... e viene in mente la famosa frase Miltoniana,

"Meglio regnare all'Inferno che servire in Paradiso"


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Fritz Zorn (da "Il Cavaliere, la Morte, il Diavolo")

"In questo senso posso persino identificarmi con Satana perché come ho scritto nella prima parte della mia storia, io la mia malattia, il mio cancro (2 anni fa la mia malattia si chiamava ancora cancro) l'ho voluto: ho voluto essere percepito nelle buie caverne degli Inferi "per essere altrove" piuttosto che nel mondo della depressione in cui avevo vissuto i primi trent'anni della mia vita. In questo senso vedo nell'elemento Satana anche l'elemento liberatorio."


Andrea Emo (da "Supremazia e Maledizione")

"Il Sé è Lucifero (o meglio il Dio) decaduto. Il Sé è l'Io, la Soggettività dell'Io, decaduta a oggetto, a oggetto di conoscenza e perciò precipitato e confinato nel vuoto abisso del Nulla. Eppure questo Lucifero divenuto Genio Infernale si trasfigura e riappare nei nostri cieli, nei nostri paradisi.
Il Sé Lucifero è quella parte dell'Io che ha il supremo coraggo di non essere. La Stella della Sera, la più lucida, Stella del Cielo Vespertino, scende rapidamente nel Nulla e riappare poi dopo un'intera notte come la più Lucente Stella del Mattino. L'Io e il Sé, Dio e Diavolo, sono una sola vicenda."


Giovanni Cenacchi (da "Cammino tra le ombre", 2008)

L'Autore, nato nel 1963, è morto nel 2006, dopo essersi malato di tumore; per tutto il periodo della malattia, ha scritto un diario, che è stato pubblicato nel 2008. Lo consiglio vivamente; quello che colpisce di Cenacchi è che anche lui era autodidatta, e il suo diario resta un prezioso, luminoso e raro esempio di "Filosofia dell'Anima, scritta con inchiostro di sangue", al di là delle paludi sterili dell'accademismo che riducono il pensiero a sterile e boriosa ostentazione di paroloni, per tirarsela e sembrare colti e dotti...quella è la morte del Sapere, ed è una mafia culturale, che tenta di relegare le riflessioni esistenziali ad un'elite saccente. Di Cenacchi, riporto queste frasi, atti d'accusa fortissimi contro Dio, pronunciate da un uomo al culmine della sua disperazione e del suo senso di abbandono, di fronte a un dolore del quale non si vede né l'utilità, né il senso:

"Dio crudele e distratto, quando avverrà per te la resa dei conti? Quando dovrai rispondere del tuo creato? Chi ti infliggerà la condanna che meriti? (23 settembre)"

"Che orrore sarà il paradiso dell'artefice di questo mondo? Di fronte al tuo creato, o signore, il dilemma non consiste nel crederti, ma nel fidarsi di te. Io non mi fido di dio.
(25 ottobre 2004)

"Preghiera di un non credente: il mio dolore è il mio rosario.
(24 maggio 2005)"

"Vivo nella mia morte e null'altro mi è permesso / ogni cosa che vedo, è cosa che perdo."


Questo invece è un commento di Luigi Pareyson ad Alfred de Vigny, che si ricollega alle accuse contro Dio di Giovanni Cenacchi:

"Protesta Alfred de Vigny, e non soltanto quando aggiunge "le silence" al Poema "Le Mont des Oliviers", suggerendo di opporre al silenzio di Dio, il freddo e sdegnoso silenzio dell'Uomo, ma anche quando immagina un giovane infelice che commette il suicidio con lo scopo preciso di presentarsi a Dio, per chiedergli ragione d'averlo creato sofferente."

Non è la stessa domanda inespressa, quel "Perché Dio hai permesso Auschwitz? Perché permetti tutto questo dolore a quelli che tu chiami tuoi figli?" che permea anche la riflessione di Elie Wiesel?

Infine, qualche verso di "Ora Satanica" di Gabriele d'Annunzio, che mostrano un Satana Dionisiaco, Gloriosamente Ribelle e Invitto, Spirito e Motore stesso della Volontà di Vita, Sentinella del Sapere, come viene inteso nel pensiero luciferino; del resto per un Luciferiano il dio di morte, tenebra e dolore, dittatura e tirannia, oscuratore della conoscenza, signore dei cadaveri e dei cimiteri, è proprio il Dio dei cristiani!

Voglio l'ebrezze che prostrano l'anima e i sensi,
gl'inni ribelli che fan tremare i preti:

voglio ridde infernali con strepiti e grida insensate,
seni d'etére su cui passar le notti:

voglio orgie lunghe con canti d'amore bizzarri:
tra baci e bicchieri voglio insanire.

Vola, Satana, vola su la grand'ala di foco:
stammi a fianco e ispirami: son tutto tuo!

...

Ma io con la spada ne'l pugno e di fronte a' nemici
con lo schermo su' labbri morrò da forte.

...

E l'estrema parola sarà una sfida superba,
una minaccia atroce sarà il mio moto estremo.


Infine, per una storia del Diavolo, come concetto mitologico e antropologico, consiglio questo libro: